I martiri di Rio Conco

Introduzione

Il 10 settembre 1994, in occasione del 50° anniversario dell’eccidio di Rio Conco, su iniziativa di Don Dario Zanini è stato inaugurato un bel cippo di arenaria a ricordo della strage, alla presenza dei familiari delle vittime e dell’allora Sindaco di Sasso Marconi, Renata Bortolotti. L’eccidio di Rio Conco è stato poi inserito all’interno dei programmi per le celebrazioni del 25 aprile. L’8 settembre 2004, 60° anniversario dell’eccidio, la sezione ANPI di Sasso Marconi ha celebrato a Rio Conco la commemorazione ufficiale. Il Sindaco Marilena Fabbri si è interessata della vicenda del “Toscano”, recandosi più volte sul luogo del massacro con testimoni oculari, e affidando poi ad una ditta specializzata l’incarico di effettuare ricerche sul posto con l’ausilio di apparecchiature elettroniche. Tali ricerche non hanno però dato esito positivo. E’ oggi nostro dovere ringraziare tutti coloro che “per non dimenticare” hanno contribuito a rendere omaggio alle vittime. Se passi da Rio Conco, procurati un fiore.

Palazzo Rossi, 8 Settembre 1944

Le strade ed i prati attorno al castello dei Rossi, che per oltre tre secoli, in questa giornata di fiera, si riempivano di colori e di genti, di mercanti e di funamboli, di ambulanti e di cantastorie, sono deserte come se il tempo si fosse fermato. I gravi problemi della guerra, i continui rastrellamenti operati dalle truppe tedesche e dai reparti scelti delle “SS” avevano lasciato un paese popolato da donne, vecchi e bambini. I pochi uomini rimasti vivevano abilmente nascosti nelle case o nei boschi Solo verso sera il silenzio del tramonto fu interrotto da copiose raffiche di mitra, sparate a poche centinaia di metri al di là del fiume, ai piedi dei calanchi che delimitano il confine fra i comuni di Sasso Marconi e Bologna.
Quindici persone, fra cui un ragazzo di appena diciassette anni, furono uccise. I poveri corpi caddero in modo scomposto uno a fianco all’altro nelle fosse fatte da loro scavare poco prima. Una rappresaglia dei tedeschi per vendicare la morte di due di loro.

Ca’ del Sarto è un piccolo borgo composto da alcune case nei pressi di Rioveggio. Lì vi abitavano anche due donne che, per paura, o per evitare la fame o per garantirsi maggior sicurezza, se la intendevano con i tedeschi. Questo non piaceva ai partigiani della zona, tanto che decidono di dare loro una lezione. La punizione consisteva nel tosare a zero i capelli. Questo metodo è stato praticato in tutto il territorio a nord della linea gotica, e a guerra finita, anche nelle grandi città le donne “collaborazioniste” venivano rapate e fatte sfilare per le vie della città.

Da poche ore è calata la sera del 7 Settembre del `44, quando tre partigiani, favoriti dalle prime ombre della notte si recarono a Cà del Sarto: conoscevano la zona e sapevano dove andare. Uno rimase di guardia, gli altri due entrarono decisamente in una delle case ai margini del Borgo. Entrarono e fu sorpresa per tutti: in casa oltre alle due donne che cercavano, seduti attorno al tavolo, c’erano due graduati tedeschi che non riuscirono nemmeno a capire cosa stava succedendo, ebbero solo il tempo di mettere la mano sulla fondina della pistola d’ordinanza prima di venire colpiti e uccisi dai partigiani, favoriti dal fattore sorpresa.

La reazione tedesca fu immediata; da lì a poco la zona fu circondata e le strade furono tutte presidiate nel tentativo, come da manuale, di catturare i colpevoli. L’operazione fu compiuta da soldati dell’esercito tedesco che da mesi operavano nella zona e di conseguenza conoscevano tutti gli abitanti. Alle prime luci dell’alba, chi non era riuscito a scappare si trovò nel gruppo dei rastrellati. Qualcuno ebbe comunque fortuna, i soldati per un motivo o per l’altro rilasciarono Enrico, la Rina, Bruno e anche Giuseppe che era già sul camion; lo tirarono giù per le implorazioni della figlia. Corrado e qualcun altro riuscirono a scendere dal camion in movimento e scappare, prima che quest’ultimo giungesse sulla strada statale.

Alla fine rimasero in cinque: Zuarzi Antonio (Tonino) di 37 anni; Bartolini Raffaele padre di cinque figli, la più grande Flora di 12 anni, il più piccolo Vittorio di 2 anni; Zanini Corrado di 43 anni con il cugino Zanini Antonio di 44 anni e il figlio Mario di 17 anni. Cinque erano troppo pochi (i tedeschi uccidevano per rappresaglia dieci civili per ogni tedesco ucciso), allora fermarono tutti coloro che ebbero la sfortuna di passare sulla statale: Antonio Cioni di 29 anni e Gaetano Sordi di 32 anni che in bicicletta andavano a lavorare per la Todt sulle fortificazioni della linea gotica, Lodovico Tovoli di 46 anni e Gualtiero Valdiserra di 46 anni che venivano da Pian di Setta a macinare un po’ di grano al mulino dei Cattani, fermarono anche tre di Ripoli: Albano Agnelli di 46 anni, Adelmo Rocchetta di 30 anni e Sisto Migliori di 51 anni che in bicicletta andavano a lavorare a Bologna.

Tutti e sette avevano in tasca un documento, rilasciato dall’esercito tedesco, di libera circolazione, ma nonostante ciò vennero aggregati agli altri cinque e vane furono le loro proteste. Caricati tutti sul camion assieme ai primi cinque, partirono in direzione di Sasso Marconi. Nella mattinata dell’otto settembre, le salme dei due tedeschi furono portate nell’asilo di Pontecchio, sede di un alto comando dell’esercito, mentre nella vicina canonica operava un comando delle “SS”. Anche i dodici rastrellati furono condotti all’asilo Pontecchio, presso il comando dell’esercito tedesco. Da alcuni giorni, in una delle sale dell’asilo, erano rinchiusi tre prigionieri: Gualtiero Bartolini di 37 anni e Antonio Bonini di 28 anni, rastrellati a Loiano ed un toscano privo di documenti, catturato non si sa dove. Tutto ciò fu confermato dalla signora Natalina, moglie del Bartolini e sorella del Bonini, che nei pochi giorni di prigionia nell’asilo portava loro ogni giorno da mangiare.

Nel pomeriggio del giorno 8 Settembre i 12 rastrellati e i tre che già erano a Pontecchio, furono caricati su un camion e trasportati, passando per Palazzo Rossi e Vizzano, al di là del fiume Reno, oltre Rio Conco, dove i calanchi degradano verso il fiume. Ad ognuno di loro fu fatta scavare una fossa, ed ogni volta che penso a questo episodio sono costretto ad immedesimarmi nei panni del Zanini e con l’immaginazione rivivo quel momento, cercando di capire la sofferenza di un padre che, zolla dopo zolla si sta scavando la fossa per lui e per suo figlio, e che da lì a poco morirà senza sapere il perché.

Personalmente ho cercato più volte di capire cosa prova un condannato costretto a scavarsi la fossa, con la certezza che di lì a poco verrà ucciso e perché in tanti casi analoghi, mai ci sia stata una reazione, un ultimo disperato tentativo di salvezza. Una risposta me la diede, molti anni fa, Narciso Venturi di Sasso, partigiano della Stella Rossa, catturato a Monte Sole e condannato alla fucilazione: riuscì a fuggire, gli spararono ma il bosco e la fortuna lo protessero. Era già assieme ad altri partigiani catturati, messi in fila di fronte al plotone di esecuzione. Mi spiegò che nelle ultime ore di vita un condannato perde ogni speranza, lo spirito di sopravvivenza si annulla, la persona si sente un oggetto e spera solo che i suoi aguzzini facciano presto.

Ma torniamo a Rio Conco, erano circa le sei del pomeriggio, quando i tedeschi ordinarono di sospendere i lavori poiché per loro le buche erano già sufficientemente profonde; i rastrellati furono fatti allineare sul ciglio delle fosse e uccisi a raffiche di mitra. Il 18 Agosto 1945, a guerra conclusa, i familiari delle vittime, avute dettagliate segnalazioni si recarono sul posto a prelevare i corpi dei propri parenti e dare loro una degna sepoltura cristiana. I martiri erano tutti con le maniche della camicia rimboccate; Mario, il ragazzo, era ancora abbracciato a suo padre.

L’identificazione fu facile e sollecita, le bare erano state preparate in fretta con casse da munizioni, poi ogni salma fu riaccompagnata con molta semplicità e scarsità di mezzi, nel viaggio di ritorno al proprio paese di origine. (Nove dei quindici martiri erano della parrocchia di Montorio, due della parrocchia di Loiano e tre della parrocchia di Pian di Setta). Solo “Il Toscano” che non aveva parenti rimase là, nelle fredde ed umide terre incolte di Rio Conco nel silenzio delle stagioni. Mai che una mano pietosa abbia posto sopra di lui, una croce o un fiore.

Quando fu scritto questo racconto erano già passati 53 anni. Al termine di questo triste episodio, una nota più lieta non stona: Raffaele Bartolini, uno dei quindici martiri, alla sua morte lasciò la moglie Serafina e cinque figli: Flora di 12 anni, Alma di 10, Enzo di 8, Clara di 6, e Vittorio di appena 2 anni. La signora Bartolini con immensi sacrifici, sostenuta da una misera pensione di guerra, giorno dopo giorno, da sola ha allevato i figli, che diventati adulti a loro volta si sono creati una famiglia. Flora, la figlia maggiore, è oggi suocera di Silvio Berlusconi.

Giuseppe Dall’Olio