La Rupe

Probabilmente questa era l’immagine in lontananza della rupe che si trovavano innanzi i viandanti che si accingevano ad attraversare il territorio di Sasso Marconi. Foto M. Serasini

Questa pittoresca rupe è costituita da stratificazioni di arenaria sovrapposte, intercalate verso la base da strati di ghiaie conglomerate naturalmente, facenti già parte di depositi marini del mare introappenninico pliocenico, che un « bradisismo » spostò all’odierna posizione alcuni milioni di anni fa (L. FANTINI).
Nei più grossi strati di quest’arenaria, a metà circa della costa verso sud, ove le sabbie agglutinate si manifestano più tenaci, esistevano già nei secoli scorsi alcuni antri che indicavano la presenza di cave di pietra da taglio.
Alcune di queste cave erano anche abitate da scalpellini o da individui estremamente poveri che ne avevano fatto la loro residenza.
Le notizie di questo luogo sono antichissime poiché sappiamo che già nel 1283 un frate, Giovanni da Panico, aveva ricavato da una grotta un piccolo Santuario, chiamandolo della Madonna del Sasso. La grotta fu poi ampliata da Nicolò Sanuti nel 1477.
Lo storico Leandro Alberti, che vide il Sasso di Glossina (come si chiamava allora) nel 1550, così lo descrisse: «.., passasi sotto una altissima rupe col ferro sfaldata acciò se potesse continuare la via sopra la riva del Reno, che è cosa molto paventosa da passarli sopra, vedendo da man sinistra una grandissima profondità per la quale corre l’acqua del Reno di riscontro alla foce del fiume Setta. Egli è così dimandato questo luogo Sasso per l’alta rupe di sasso qual’è quivi sopra detto stretto ed artificioso passo che è di legno armato degli abitatori della contrada dal lato del Reno per sicurezza dei viandanti acciò non cascassero nel fiume ».
Assieme ai fedeli ed ai sacerdoti contribuì all’abbellimento del Santuario il pittore Giovanni Andrea Donducci, detto il Mastelletta, che abitava in una torre poco lontana e che amava, nei giorni di festa, suonare l’organo nella chiesa. Egli dipinse le immagini di S. Rocco e di S. Sebastiano su due tavole poste ai lati dell’Altare maggiore. Sopra l’altare si venerava quella Immagine in terracotta ad alto rilievo che purtroppo è andata perduta fra le macerie del nuovo Santuario nel Borgo. Essa raffigurava la Vergine colle mani giunte in atto di adorare Gesù bambino che le giace sulle ginocchia.
Il concorso del popolo al Santuario andava aumentando; anche di molto lontano accorrevano i pellegrini e il devoto scalpello dei fedeli avanzava nella roccia ingrandendo pericolosamente la chiesa.
Una descrizione di come fosse questo Santuario-grotta la possiamo trarre da un resoconto di una visita pastorale del 1692: « … intagliata nel sasso, in pianta quasi rotonda, di lunghezza piedi 36 (m. 13,68), larghezza piedi 25 (m. 9,50), corredata di 3 altari parimenti tagliati nel sasso e di due porte la maggiore delle quali guarda la levata del sole. Evvi dietro l’altare una sacrestia di figura semicircolare anche essa intagliata nel sasso, come le cappelle che contengono i due altari… ». Un’altra descrizione contemporanea: « Quello che rende meraviglia è il vedere la chiesa assai grande con sua sagrestia, campanile et habitatione per il prete, il tutto incavato nel medesimo sasso. Questa è dedicata alla Beata Vergine operando ivi molti miracoli ».
Sul famoso luogo molte volte erano caduti massi e sempre si era posto rimedio; ma nulla poté essere fatto quando nel gennaio 1787 una grossa falda di roccia si staccò dal cielo della chiesa miracolosamente vuota e piombò sul pavimento.
Fu allora proposto dai periti l’abbandono ed il Senato bolognese prese la grave decisione di « demolire un luogo di tanta celebrità nel nostro Stato ».
Con una famosa processione, cui parteciparono più di tremila fedeli, l’immagine della Beata Vergine fu trasferita nell’oratorio della villa Ranuzzi (ora Neri).
La sede, seppur decorosa, era angusta e si pensò allora di edificare il nuovo Santuario in mezzo al Borgo. Il conte Ranuzzi donò il terreno e su progetto del valente architetto Angelo Venturoli i lavori cominciarono nel 1802 con la partecipazione in danaro ed in opere di tutti i cittadini. Ma il difficile momento politico-economico obbligò una sospensione e soltanto nel 1821 una sottoscrizione popolare permise il reperimento dei fondi necessari alla prosecuzione dei lavori; promotore dell’iniziativa fu il medico Massa e tremila devoti si tassarono per 2 baiocchi mensili formando la « Pia Unione Cooperativa ».
Il capomastro Samoggia iniziò i lavori nel 1822 ed il nuovo grande Santuario venne benedetto dal Card. Oppizzoni nel 1831. Affidato alle cure dei Padri Cappuccini nel 1857, il Santuario divenne anche sede della parrocchia di S. Pietro Castel del Vescovo nel 1882, essendo parroco Don Luigi Zanni Bertelli.
La chiesa fu distrutta quasi totalmente dalle bombe nel 1945 e fu ricostruita nelle attuali forme nell’immediato dopoguerra; essa è ancora la sede dei festeggiamenti alla Beata Vergine del Sasso che si tengono annualmente la prima domenica dopo ferragosto.
Torniamo ora alle grotte del Sasso che la Madonna lasciò nel 1787.
I periti decisero, evacuata la Madonna, di rendere più sicura la strada tagliando la roccia che incombeva su di essa.
Con notevole spesa e con l’aiuto di mine, il primo grande taglio della rupe fu terminato entro il 1789.
Un altro grande taglio fu effettuato nel 1829; essendo infatti in corso i lavori per la costruzione della strada « Porrettana », si tagliò il contrafforte della rupe che costringeva la strada a voltare in basso su Ca’ de Gasparri.
Col taglio, che asportava i ruderi dell’antico castello posto sul contrafforte, si evitava quindi la volta e la strettoia di Cà de Gasparri e si arrivava direttamente alla Fontana.
Le disposizioni governative, che impedivano la riapertura delle cave, furono presto dimenticate e molti poveri tornarono a vivere nelle case-grotte sotto la rupe.
Finché il 24 giugno 1892, in un alone di leggenda e di profezie, la rupe del Sasso crollò uccidendo 14 dei 38 abitanti delle grotte.
Il fatto ebbe grande risonanza nazionale, occorsero aiuti da ogni parte e il cordoglio fu unanime. A commento di ciò Lorenzo Stecchetti scrisse il noto, mordace epigramma:

Fu la scena soltanto
Fu il drammaccio cruento Che vi commosse al pianto.
Se il monte non cascava Morivano di stento Ma nessuno ci badava.

Ma quelle della frana del ’92 non dovevano essere le ultime vicissitudini della famosa rupe. Essa infatti tornò alla ribalta quando, durante l’ultima guerra, gli abitanti della Fontana e di Ca’ de Gasparri per sfuggire alle bombe si rifugiarono nelle antiche cave, creando una miserevole comunità trogloditica somigliante per molti versi a quella ivi esistente nei secoli passati.
Inoltre i soldati tedeschi in fuga fecero saltare con le mine il piano stradale sotto la rupe e con esso caddero i grandi muraglioni di sostegno che trascinarono nell’impressionante baratro anche la lapide ricordo dettata dal Panzacchi.
I muraglioni sono stati ricostruiti, la strada allargata e la lapide ricollocata al suo posto e… speriamo che la famosa rupe del Sasso non abbia più storia in futuro !!

articolo tratto da
Guida del comune di Sasso Marconi
scritto da Giorgio Bertocchi
ATESA EDITRICE

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Galleria foto storiche della rupe

Foto delle cavità della Rupe di Sasso Marconi tratte dalla rivista di speleologia del GRUPPO SPELEOLOGICO BOLOGNESE e dell’UNIONE SPELEOLOGICA BOLOGNESE anno XXXVII n°106 – Gennaio-Giugno 1998