La cappella Albergati nell’antico Santuario della B.V. del Sasso

Il mistero del quadro di Santa Lucia

di Franco Ardizzoni

Un’interessante documentazione concernente il giuspatronato che la famiglia Albergati deteneva sopra un altare esistente nell’antico santuario della Beata Vergine (scavato nella Rupe del Sasso nel 1477 da Nicolò Sanuti, primo conte della Porretta, come ampliamento della piccola chiesa rupestre ivi costruita nel 1283 da Fra’ Giovanni da Panico) (Fig.1 e 2) è stato trovata nell’Archivio di Stato di Bologna (nota 1), e gentilmente a me segnalata dall’amico Domenico Medori, instancabile ricercatore ed appassionato studioso di arte sacra.
In particolare la documentazione contiene:La Rupe di Sasso Marconi
– due dichiarazioni autografe rilasciate dal pittore Giovanni Antonio Burrini (1656-1727) al conte Pirro Capacelli Albergati: una riguardante un quadro raffigurante Santa Lucia, che l’Albergati aveva rimosso dalla sua cappella nel santuario del Sasso, l’altra relativa ad un quadro già in una cappellina sul ponte della Quaderna, vicino ad Ozzano Emilia, nei pressi di una possessione dello stesso conte Pirro.
– una dichiarazione autografa del pittore Girolamo Gatti (1662-1726) sempre relativa al quadro della cappellina del Sasso.
– alcune lettere, frutto di una corrispondenza fra il conte Pirro Albergati ed altri personaggi relativa al restauro della suddetta cappella: restauro effettuato nel 1710 (come attestato da una lapide che era murata nella parete della stessa).
Per meglio capire l’attinenza che ha la suddetta documentazione con il santuario della B. V del Sasso, occorre fare riferimento al testo scritto da Oriano Tassinari Clò nel libro: La Madonna del Sasso – un antico santuario del bolognese – 1283-1983, Bologna,1985, pp. 107-114, ed alla piantina della chiesa (Fig. 3) fatta da Tassinari Clò in collaborazione con Augusto Martelli (coautore dello stesso libro) sulla base delle descrizioni trovate negli archivi parrocchiali (Fig. 4).
Scrive infatti Tassinari Clò:
“Ci guidano, in questa visita al santuario rupestre, fondamentalmente alcuni inventari redatti tra la fine del XVII e la fine del XVIII secolo dai parroci dei SS. Giorgio e Leo, che sovente indicano la loro parrocchiale col dialettale S. Alè o S. Allè, che sta chiaramente per S. Leo. All’esterno del santuario, nella parete in alto sopra la porta maggiore vi è una- campana in bronzo: è la campana di don Bettino [donata da don Bettino Bettini nel 1605, ndr], di libbre 400 in circa […]. Entrati nel tempio, ci si trova in un’aula quasi circolare dove tutto – pareti, volte, altari – è di sasso. La – sola parete di levante, quella che chiude l’imboccatura della caverna, è di pietre […].Immagine della Madonna del Sasso posta sulla terza colonna delle quattro grandi arcate.
La chiesa è lunga 36 piedi (m 13,68) e larga 25 piedi (m 9,5), ha tre altari, e nel suo volume è incluso quello dell’oratorio della Compagnia del Suffragio […]. La chiesa non è orientata, ma si sviluppa parallelamente alla strada, lungo un asse nord-sud, come mostrano chiaramente alcuni schizzi di pianta […]. A nord, entro una nicchia semicircolare, ricavata nel sasso, sull’altare maggiore, quello della B. V, c’è la Immagine della Beata Maria Vergine [Statua a tutto tondo in terracotta, alta circa 76 cm, del XV secolo] […]. L’altare, preceduto da predella, ha un pagliotto di scagliola lavorata a fiori con l’immagine della V M. in mezzo. In alto pendono tre lampade d’ottone, e due angioli di legno con l’ali che tengono due candele ma antichi sono collocati anteriormente alla nicchia. Ai lati dell’altare sono due pitture, su legno o su tela : «a cornu evangelii» un S. Rocco, «a cornu epistolae» un S. Sebastiano, dipinti che l’Oretti (nota 2) dice essere del Mastelletta. Oretti afferma nel contempo esservi un quadro di due facciate uno guarda in chiesa e l’altro nel Corretto è opera di Gioseffo Pedretti, ma non ne indica i soggetti. È verisimile che i due «santi della peste» (nota 3) siano stati posti in chiesa attorno all’anno della peste, il 1630, e che siano stati eseguiti dalla straordinario e travagliato Donducci [ detto il Mastelletta] durante la sua lunga sosta al Sasso […]. Dietro l’altar maggiore è la sagrestia, semicircolare, anch’essa ovviamente ricavata nella roccia […]. Rientrati in chiesa vediamo nella parete rocciosa consecutiva, cioè a ponente, oltre il pulpito, incavate due cappelle ugualmente chiuse da rastelli. La prima dirimpetto alla porta maggiore, è quella di S. Croce in cui adest Crucifixus Pinctus in Muro […]. È questo, nel 1573 [visita Marchesini], il solo altare esistente oltre a quello della Madonna; è dedicato anche a S. Lucia, e fu fabbricato e dotato a spese di D. Bettino Bettini predetto, che per successione da lui ordinata ne pervenne il Giuspatronato alla Casa Albergati […]. Più tardi, al posto del Crocifisso pictus in muro, si indica un dipinto su tela rappresentante il Crocifisso con S. Giovanni Evangelista a destra e S. Lucia a sinistra, entro cornice profilata d’oro. Nella stessa cappella sono, lateralmente, due dipinti: a destra S. Carlo, a sinistra S. Antonio da Padova. Vi era qui, al tempo del Cristo affrescato, un’immagine di S. Lucia, forse Pianta ipotetica dell’antico santuario della B. V. del Sassodisegnata nel 1984sottoquadro, di grande pregio, donata e poi ripresa dagli Albergati; talchè nella visita pastorale del 28 settembre 1717, quando era rettore da poche settimane don Bartolomeo Giorgi, l’infaticabile cardinale Giacomo Boncompagni ingiungeva che l’immagine dipinta di S. Lucia, di mano del Guercino, già donata all’altare dal conte Pyrro Albergati e poi tolta, venisse restituita. Il che però non avvenne, e il 28 luglio 1732 il cardinale Lambertini, in visita pastorale mentre era rettore don Giuseppe Serra, ricordando la imaginem S. Luciae ab insigne Pictore Barbieri vulgo dic. il Guercino depictam, minaccia di adire al tribunale se il patrizio non renderà il dipinto entro 15 giorni. Ignoro come sia finita la vicenda, ma non è azzardato supporre che il dipinto su tela comprendente anche S. Lucia sia stato una sorta di … sanatoria.
Peraltro, a metà del `700, lo ius degli Albergati su questa cappella è detto ora della Mensa, con una rendita annua di 80 lire. È bene ricordare che Pirro Albergati Capacelli (1663-1735) fu elegante compositore di musica strumentale: fra l’altro gli si devono 16 oratori e 2 opere teatrali. Sopra l’altare del Crocifisso vi è una lapide:

PYRRUS CAPACEL
LI ALBERGATI
RESTAURAVIT
A.D. MDCCX

Segue, alto contro la parete, l’organo coi suoi mantici e la sua cantoria, sostenuta da 4 colonne di legno: è l’organo delle sonate del Mastelletta […].”
Questa la sintesi della descrizione fatta da Oriano Tassinari Clò della chiesa e della cappella del Crocifisso, ovvero di S. Lucia, oggetto principale della nostra vicenda. Mappa del 1788 che mostra la Rupe del Sasso con al suo interno la vecchia chiesaInfatti, in merito al quadro contenuto in tale cappella e raffigurante, appunto, Santa Lucia, era nata una controversia fra il conte Pirro Capacelli Albergati ed i cardinali Boncompagni prima, e Lambertini poi, in quanto i cardinali sostenevano che detto quadro, di mano del Guercino [1591 – 1666] secondo loro, era stato sottratto dal conte Albergati alla cappella del santuario senza palese giustificazione ed anzi minacciavano di ricorrere al tribunale se non fosse stato rimesso al suo posto. A questo punto la documentazione rinvenuta nell’ Archivio di Stato dall’amico Domenico Medori può gettare un po’ di luce sulla vicenda del dipinto, presunta opera del Guercino, e chiarire molti punti che apparivano oscuri anche a Tassinari Clò. Infatti, il 7 febbraio 1721 il conte Pirro Capacelli Albergati, evidentemente stanco delle molte illazioni circa il detto quadro, scrive una lettera abbastanza risentita a don Bartolomeo Giorgi, rettore del santuario della B.V del Sasso:

“Molto Rev. Sig. mio
Ho inteso questa sera dal sig. D. Giovanni Biagi Curato di S. Steffano di Scascoli l’istanza da lei fatta concernente il mio altare di S. Lucia in codesta Chiesa della B. V del Sasso, alla quale risponderò in capo per capo.
Il quadro che lei dice tener ordine da S. E. di dimandarmelo. Lei sappia che detto quadro lo feci levare per essere tutto rovinato dall’umido, e consumata la pittura, che non si conosceva che cosa fosse, come di questo tengo una fede in iscritto presso di me fatta dal Sig. Antonio Borini maestro degno di tutta stima, che confessa non potersi più […] per essere affatto perso e bisognava fare un quadro tutto nuovo, perché la istessa tela era rovinata dall’umido e non avrebbe resistito a tornarlo in quel sito […].
E mi consigliò per benefitio dell’altare ne facessi fare una copia al meglio fosse possibile, quale me la fece il sig. Girolamo Gatti; che pure tengo presso di me altra fede, che documenta il cattivo stato del quadro. Dichiarazione firmata dal pittore Giovanni Antonio Borini (o Burini)Benchè a me pare di non essere tenuto, mentre so qualche in certo questo o quello costava il rovinato, oltre a poi la cornice fatta e dorata. I candeglieri dorati. Le tovaglie per detto altare. La ferriata fatta. Il paglio fatto. Alzato la cappellina, tutta a forza di scalpello, che per due sale tutta la spesa, come appare nei miei libri di computisteria […].” Alla lettera del conte Albergati il rettore del santuario, don Bartolomeo Giorgi, rispose prontamente scusandosi e giustificando l’ardimento col fatto che era stato indotto a ciò dal suo superiore. Le dichiarazioni rilasciate dai due pittori, Burrini (Fig. 5) e Gatti (Fig. 6), sembrano chiarire ogni dubbio circa la sorte del quadro di S. Lucia. Particolarmente Girolamo Gatti, specificando che il dipinto era di mano del Mastelletta, (quindi non del Guercino) rende più comprensibili i motivi per cui il vecchio quadro, oltre ad essere danneggiato dall’umidità del luogo in cui era posto, aveva perso quasi completamente i colori ed i contorni. Questo può essere spiegato dal fatto che il Mastelletta, particolarmente nel suo primo periodo d’artista, utilizzava molto il nero ed il verderame ed adoperava colori molto liquidi, per cui i suoi quadri in breve tempo smontavano di colore ed annerivano, cosicché spesso doveva riprenderli, e non sempre riusciva a migliorarli (nota 4). Per questo motivo il quadro era stato praticamente demolito e sostituito dalla copia eseguita dal Gatti. Evidentemente però la qualità era inferiore a quella della tela dipinta dal Mastelletta che, a questo punto della vicenda, assume un ruolo da protagonista.
Il pittore Giovanni Andrea Donducci, dal genitore, che faceva i mastelli, detto per sopranome il Mastelletta (così scrive di lui Carlo Cesare Malvasia) (nota 5), nacque a Bologna nel 1575 ed ivi morì nel 1655 (Fig. 7). Di carattere schivo ed introverso, a tal punto che quando i committenti dei suoi quadri andavano a vederlo dipingere, si nascondeva dietro le tele, e quando lo lodavano per il lavoro fatto rispondeva rusticamente dicendo di essere ignorante, di non sapere quel che facesse e che se c’era qualcosa di buono era stato per caso e per fortuna. Dichiarazione firmata dal pittore Girolamo Gatti al conte Pirro Capacelli AlbergatiFece due viaggi a Roma, dove i quadri dei suoi paesaggi furono molto apprezzati, tanto che alcuni fanno ancora parte delle collezioni delle famiglie aristocratiche romane quali i Borghese, gli Spada, i Barberini, i Pamphilij, i Giustiniani ed i Santacroce. Particolarmente ebbe l’apprezzamento dei cardinali Benedetto Giustiniani e Maffeo Barberini che, quando giunsero a Bologna come cardinali legati, lo protessero e gli fecero ottenere l’incarico di dipingere i due enormi quadri (di oltre m 6 per lato) nella cappella dell’Arca di S. Domenico (nota 6) (Fig. 8). A Roma ebbe pure modo di approfondire la sua conoscenza musicale, di cui era appassionato, frequentando il grande organista Cattaneo, allievo di Girolamo Frescobaldi, che lo portò a suonare l’organo con maestria pari a quella impiegata nella pittura (nota 7).
Il Mastelletta ha vissuto per qualche tempo in prossimità della Rupe del Sasso (nota 8), dove si era rifugiato in una torretta vicino ad uno stagno lungo il fiume Reno, infastidito dalla vita di paese, ma anche qui era innervosito persino dal gracidare delle rane. Nel santuario della B.V ebbe un ruolo di rilievo. Infatti, oltre ad avere dipinto il quadro di S. Lucia, aveva realizzato pure i due quadri ai lati dell’altare maggiore dedicati a S. Rocco e S. Sebastiano. Inoltre era stato l’organista della chiesa (nota 9). Purtroppo però non si conosce la sorte dei due quadri dei santi della peste (Rocco e Sebastiano) dopo la traslazione dell’immagine della Beata Vergine dal santuario della rupe all’Oratorio della Concezione nel Borgo, di proprietà della famiglia Ranuzzi, traslazione avvenuta nel 1787, come attesta la lapide affissa alla parete della Rupe. Giovanni Andrea Donducci detto il Mastelletta. “Carità
Altro personaggio di rilievo in questa storia è il pittore Giovanni Antonio Burrini (uno dei maggiori pittori bolognesi fra Sei e Settecento). Nato a Bologna nel 1656 (un anno dopo la morte del Mastelletta) e morto nel 1727, sempre a Bologna. Burrini ebbe rapporti di lavoro intensi con la famiglia Albergati. Infatti, fra il 1681 ed il 1684, affrescò la villa di Zola Predosa e, dopo il 1706, scrive Eugenio Riccomini (nota 10), dipinse la grande pala di cm. 285 x 190 raffigurante il Martirio di Santa Caterina d’Alessandria (Fig. 9) ancora oggi conservata nella chiesa di Santa Caterina di Saragozza, che era la parrocchia degli Albergati.
Giovanni Antonio Burrini (1656-1727). “Martirio di Santa Caterina di Alessandria”Giovanni Andrea Donducci detto il Maselletta. “Il miracolo dei quaranta annegati

Tratto dalla rivista semestrale “al sâs” N.11
edita dal gruppo di ricerca storica “DIECI RIGHE”