una storia vera
“Brezzi” era il nome, o più probabilmente, il soprannome dato ad un uomo che non possedeva né famiglia né fissa dimora. Non era però il tipico vagabondo che girovagava per le colline di Sasso Marconi, Mongardino, Tignano, Pontecchio, Nugareto,e Moglio negli anni del dopoguerra, perché viveva come in un mondo a parte. Forse era una forma di pazzia causatagli dagli eventi bellici. Egli infatti affermava d’aver perso tutti i suoi parenti sotto i bombardamenti rimanendo completamente solo; in realtà nessuno sapeva cosa fosse realmente accaduto e da dove venisse; comunque fossero andate le cose era evidente che per lui la guerra non era ancora finita, a causa del fatto che essa era perennemente impressa nella sua mente.
Non parlava correttamente, farfugliava al punto che non si capiva mai cosa volesse realmente dire; solo alcune parole risultavano comprensibili: “buono”, “frazzie” (grazie), “gnorno” (giorno), e le ripeteva solo a quelli che conosceva.
Non soleva infatti avvicinarsi ad estranei, né tanto meno frequentava le strade principali, sopraffatto da chissà quale fobia. Brezzi era sempre vestito di stracci, a volte senza scarpe e con i piedi solo fasciati; quei pochi indumenti che possedeva erano regali di contadini che, in cambio di qualche lavoro faticoso e sporco nella fattoria, glieli offrivano perché vecchi e inutilizzabili. E così sistemava fieno e letame, sempre contento perché sapeva che avrebbe ricevuto una giacca vecchia, un paio di pantaloni, una maglia, oppure del pane; poi radunava tutti i suoi preziosi oggetti dentro una sacca e, dopo numerosi “frazzie”, che ripeteva anche quando era già lontano dal podere in cui aveva lavorato, ricominciava il suo viaggio.
Dormiva dove capitava, nei campi durante l’estate, e a casa di contadini durante l’inverno, perché ormai era conosciuto da tutti, e tutti gli erano affezionati per la sua forza d’animo oltre che per la sua forza fisica. Sarebbe stato capace di spezzare un tronco d’acacia per rincorrere chiunque l’avesse preso in giro.
Ma l’aspetto più singolare che caratterizzava Brezzi, e per il quale era imitato anche dai bambini, era rappresentato da quelle strane telefonate che ogni tanto “riceveva” o “faceva”, quando nella sua mente scattava qualcosa che gli faceva scambiare un rumore qualsiasi per uno squillo di telefono; e allora mollava tutto, senza pensare a cosa stesse facendo e, andando contro un albero, o ad un palo, o addirittura piantando la testa dentro un cespuglio, urlava “frontoooo??, frontooooo???” e, sempre urlando, conversava con l’immaginario interlocutore per parecchio tempo farfugliando parole incomprensibili. Probabilmente era una scena che aveva visto fare da qualcuno durante la guerra, e così ne approfittava per fare credere a tutti coloro che gli erano attorno che anche lui aveva una vita impegnata, con parecchie responsabilità, ma anche con molte gratifiche per il lavoro che stava compiendo.
Al giorno d’oggi ormai tutti possediamo un telefono portatile, e basta un piccolo segnale acustico o una leggera vibrazione per farci entrare in comunicazione con chiunque. C’è chi parla con lo sguardo perso nel vuoto, c’è chi parla fermo in un angolo appoggiato ad una parete, c’è chi parla attraverso un auricolare, gesticolando nascosto dietro ad una colonna. Insomma, oggi tutti parlano di qualsiasi cosa e da qualsiasi luogo grazie ad un telefono che si portano in tasca come se fosse la cosa più naturale del mondo. Ma per me, quando vedo queste situazioni, è impossibile non ricordare Brezzi e non immaginarmelo con la testa piantata in mezzo ad un arbusto per parlare con qualche personaggio importante.
Se dovessi descrivere i mille episodi che mi emergono dalla memoria in suo ricordo, potrei scrivere un intero libro. Questo mio breve racconto vuole essere un omaggio a una persona, vittima di una guerra che le ha strappato tutto ciò che aveva di più caro, e che è rimasta nel cuore e nella mente di tanti per la sua umanità. In fondo era un uomo che avrebbe potuto avere una famiglia, un lavoro, e una vita normale, se la sua esistenza non fosse stata intaccata dal secondo conflitto mondiale.
Graziano Martuzzi
tratto dal periodico del Circolo Filatelico “Guglielmo Marconi”
“Sasso & Dintorni” anno IV – n° 14 e 15