Quei due quadretti

Così come oggi, in Via stazione n° 51 c’è una bella palazzina con giardino e terrazze fiorite, anche nel lontano 1944, proprio nello stesso punto, c’era una palazzina simile con giardino, e terrazze fiorite; ma quella di cui io oggi voglio parlare, purtroppo è crollata nel 1945 durante l’ultima guerra. In quel tempo in quella casa vi era situato l’ufficio postale.

Ufficio Postale di Sasso Marconi anni '30

Ufficio Postale di Sasso Marconi anni '30 (Edizione Giuseppe Fabbriani)

Le porte d’ingresso erano due, il giardino era diviso al centro da una siepe alta e verde; dalla porta di sinistra si entrava nell’ufficio postale, dalla porta di destra si entrava nell’abitazione della signora Rosati che in quei tempi svolgeva il servizio di ufficiale postale. Sono certa che qualche lettore ricorderà quella donnina, piccola e minuta, dall’età indefinita che era sempre presente in ufficio, era ligia ed inflessibile nel proprio lavoro, era onesta, generosa e disponibile, nonostante la sua abituale arroganza. Forse qualcuno ricorderà la signora Rosati quando per asciugare qualsiasi scritto (per quei tempi) esclusivamente eseguito con la penna intinta nell’inchiostro, essa usava cenere mista a finissima sabbia, che lei teneva in un barattolo di latta dal quale, da piccoli fori, usciva la polvere che poi dopo pochi istanti lei soffiava sul banco. La signora Rosati era molto miope, per leggere accostava i vari fogli alle lenti spesse che lei portava sempre; era molto severa con i dipendenti; in ufficio tutto doveva sempre filare dritto, il suo metodo faceva emergere il massimo della disciplina e del dovere.
Ricordo una giovane impiegata di nome Margherita, la quale lasciava trasparire come lavorasse con ansia ed attenzione per timore di sbagliare e di conseguenza essere ripresa in pubblico;l’altra impiegata si chiamava Parisini, era più disinvolta, spesso se ne stava davanti all’apparecchio dell’alfabeto Morse dal quale usciva il noto ticchettio mentre ìl nastro scorreva. Presso la porta dell’ufficio accanto alla siepe era stata sistemata una panchina dove noi giovani spose, stavamo lì sedute in attesa di essere chiamate per riscuotere il così detto sussidio: cioè ci veniva elargita una certa somma dallo stato in quanto i nostri mariti si trovavano richiamati nell’esercito causa la guerra. Ricordo che avevamo dentro al cuore il pensiero stressante di un tragico imprevisto, però l’amarezza del dramma storico che stavamo vivendo, non impediva a noi giovani donne di mescolare ai discorsi tristi risate fragorose e di trovare il metodo di cogliere momenti gioiosi che il cuore giovane sempre regala. Qualche volta vedo alcune di quelle giovani di un tempo che fu, di un tempo che velocemente corre, spazza, divora, cambia e me le presenta vecchierelle, così, come sono anch’io, noi in posto della giovinezza possediamo un ricco patrimonio di ciò che è passato.

Località la Tintoria nel 1936

Località la Tintoria nel 1936 (Edizione Giuseppe Fabbriani)

Il giorno del mio turno per ritirare il sussidio seduta sulla panchina c’era anche una sposina giovane che abitava nella località Tintoria e che arrivava sempre di corsa col suo bambino il quale avrà avuto circa sei anni di età, egli era vivace, irrequieto, non stava un momento calmo, essa lo prendeva sempre con sé perché lui voleva stare solo con lei. Quando la madre veniva chiamata allo sportello lo tenevo io sulle ginocchia, mentre gli raccontavo qualche storiella lo tenevo stretto per timore che mi scappasse nella strada. Quel bambino si chiamava Walter era intelligente ed affettuoso, eravamo diventati amici, quando la madre usciva dall’ufficio e lo prendeva per mano per correre verso casa, lui continuava a salutarmi con la mano fino a che, raggiunta la piazza, girava a sinistra.
II tempo come sempre correva, anche se quei giorni erano brutti, il fronte si avvicinava come il disastro finale della guerra. Dall’agosto 1944 non andammo più all’ufficio postale: le bombe, le granate, il nemico che non sapevi riconoscere; volevamo salutarci, ma come? Ci ritirammo in rifugio; quindi quel bambino non lo vidi più. La guerra finì, la voglia di sopravvivere stimolò in tutti noi che eravamo tornati nei luoghi ridotti a scheletri e carichi di pericoli, tanto coraggio. La vita trascorse su di un nastro arroventato dai sacrifici i quali in quegli anni difficili ci hanno lasciato cogliere emozioni straordinarie, non lavoravamo con rabbia o disprezzo ma con le soddisfazioni di veder sorgere come per magia le case distrutte. Magia e ironia a qui tempi convivevano felicemente. I paesi e le città rifiorirono come le primule che madre natura continua a regalarci ogni primavera.

Sasso Bolognese 1935

Sasso Bolognese 1935 - L'ufficio Postale è la seconda casa a sinistra partendo dal centro del paese. (Edizione Giuseppe Fabbriani)

Un giorno dell’anno 1977, mi trovavo a Bologna in via Indipendenza all’altezza del bar Calderoni quando udii una voce chiara chiamarmi per nome, mi girai guardai con stupore un signore che mi porgeva la mano e garbatamente mi salutava. lo non lo conoscevo.
“Sono Walter” disse “Non mi riconosce? lo l’ho riconosciuta subito… Sono Walter” ripeté notando che io continuavo a fissarlo senza espressione. “Sono Walter quel bimbo che veniva all’ufficio postale con la mamma a ritirare il sussidio, perché papà era in guerra, abitavo alla Tintoria a Sasso Marconi. Come vede ora sono un uomo”. Lo riconobbi, lo abbracciai, era lui, sì era lui, mi sembrava impossibile che fosse passato tanto tempo! Walter mi prese per mano mi fece sedere sulla sedia accanto al tavolino del bar, ordinò qualche cosa al cameriere, si sedette vicino a me, mi prese le mani me le strinse. “Signora” disse commosso “Oggi ho fatto un incontro straordinario”. Parlò, parlò quasi sempre lui, io lo ascoltavo attratta dal suo racconto, mentre lo fissavo scoprivo ad ogni sua espressione i tratti di Walter bambino. “Signora” continuò, “Noi siamo stati due mesi in un rifugio nei pressi della rupe, poi I’11 novembre 1944 ci hanno mandati via, abbiamo passato l’inverno nella caserma vicino a porta S. Felice. lo sempre per mano a mia madre che s’impegnava per racimolare qualche cosa da mangiare da un capo all’altro della città. Mio padre tornò a guerra finita”. Il racconto di cose inerenti ai grandi temi della dura vita di quei giorni, mi fecero capire che avevamo affrontato le stesse battaglie. Walter mi raccontò di essere tornato a Sasso Marconi, il giorno dopo il passaggio delle truppe alleate. “Mia madre non voleva che io andassi con lei, ma io non staccai la mano dalla sua; andai a piedi da Bologna a Sasso e per il ritorno da Sasso a Bologna; prima di partire mi feci prestare un paio di scarpe migliori delle mie, ma il camminare sulle macerie, le buche, i rami che ostruivano il passaggio e il correre di mia madre, fecero sì che quando arrivai a Sasso le scarpe fossero a pezzi, dovetti fasciarmi i piedi con alcuni pezzi di stoffa che spuntavano fra le macerie del negozio Fabbriani. Rimasi molto male quando arrivai alla Tintoria e vidi che la mia casa era crollata; il piano sotto non aveva avuto gravi danni ma il piano sopra dove abitavo io, era distrutto.

Praduro e Sasso nel 1912

La casa della Tintoria citata nell'articolo è la prima a sinistra (Edizione Giuseppe Fabbriani)

Osservai un attimo poi mi buttai in terra e piansi a lungo, mia madre trovò fra i travi rotti e i calcinacci, un pettine e un mestolo; mi alzai, cercai, volevo trovare qualche cosa di mio, ma… nulla, solo macerie; anche mia madre si buttò per terra e pianse, io approfittai del momento per andare dalla parte dietro della casa dove un pezzo di parete della mia camera era rimasta dritta. Mi arrampicai, avevo visto qualche cosa appeso a quella parete, salii con cautela e da sopra ad un blocco di cemento riuscii a staccare dalla parete due quadretti, nell’osservarli subito ricordai che quei quadretti li aveva fatti mio padre con pochi legni presi dal bosco, qualche chiodo, un po’ di colla ed un pezzo di vetro che lui riuscì a tagliare ed a inserire nella cornice. Nello scendere, ruzzolai in mezzo alle macerie, rimasi quasi sepolto, ma i quadretti li tenevo in alto più che potevo; mia madre udendo il rumore, corse dietro la casa e mi tirò fuori; avevo molti graffi ma nulla di grave; ero contento di aver trovato quelle cose. “E’ un miracolo!” L’esclamai guardando i quadretti. In uno di questi c’era l’immagine della Madonnina di Porretta, nell’altro c’era una fotografia di Guglielmo Marconi ritagliata da un giornale, che rappresentava lo Scienziato ripreso nel 1901 accanto all’apparecchio col quale effettuò il primo collegamento radio telegrafico transatlantico tra Poldhu (Cornovaglia) e S. Giovanni di Terranova (Canada). “E’ meraviglioso!” esclamò mia madre, constatando che non si era rotto neppure il vetro.

Praduro e Sasso nel 1915

Praduro e Sasso nel 1915 - La Tintoria vista dal fiume Reno (Edizione Giuseppe Fabbriani)

“Signora Cecilia” disse Walter stringendomi forte le mani: “Quei quadretti sono per me due reliquie”. Tacque un attimo poi riprese: “Appena finita la guerra siamo rimasti per qualche tempo ancora nella caserma, poi appena è tornato mio padre ci siamo sistemati presso i nonni a Parma”. Fece ancora una pausa poi con voce bassa disse: “Mia madre mi ha lasciato presto, ma la sua immagine non è sbiadita… Mi tiene la mano e mi fa correre con lei”. Ascoltando quel suo parlare di un passato che mi apparteneva, le lacrime cominciarono a salirmi agli occhi, mi sembrò quasi bello frugare quei ricordi impressi nell’anima: l’ufficio postale, la signora Rosati, la panchina, Walter che non riusciva a stare seduto, i giovani volti di chi vedeva la persona amata soltanto in sogno, cominciarono a danzare dentro la mia testa mentre lo sguardo vagava lontano. Walter parlò ancora:”Oggi sono a Bologna per lavoro” disse, si mise una mano davanti agli occhi forse per scacciare la visione di quel bimbo irrequieto, poi continuò: “Ora sono notaio, ho moglie e due figli. Da quel giorno lontano non sono più tornato a SASSO MARCONI, quindi non so in quale modo sia stata ricostruita quella che fu la mia casa di bambino. “Fece ancora una pausa, poi disse con fermezza. “Ho fatto diversi traslochi durante la mia vita, ma l’immagine di quella Madonnina e la fotografia di Guglielmo Marconi… Quei due quadretti così integri come li ho trovati, sono sempre venuti con me.” Sorrise apertamente strìngendo gli occhi, così… come quando io gli raccontavo le storielle, seduta sulla panchina, all’ombra della siepe di verde, davanti alla porta dell’ufficio postale di Sasso Marconi 1940 – 1944.

Guglielmo Marconi a San Giovanni di Terranova (Canada)

Guglielmo Marconi a San Giovanni di Terranova (Canada) accanto alle apparecchiature che ricevettero il primo collegamento radio transoceanico.

Cecilia Pelliconi Galletti