La villa Ghisilieri di Colle Ameno: origini e vicende evolutive. Parte 1

PAGINA IN COSTRUZIONE

Parte 1. L’epoca dei Davia

di Elena Gentilini

La storia più celebre del complesso monumentale di Colle Ameno (nota 1) si svolge negli anni intorno alla metà del XVIII secolo ed è legata alla figura del marchese e senatore bolognese Filippo Carlo Ghisilieri, artefice del periodo di massimo splendore, quando il sito, costituito dalla villa padronale, dalla chiesa e dal borgo annesso, ormai interamente costruiti, vide il moltiplicarsi di una serie di attività commerciali e culturali promosse dal senatore stesso, sulla spinta di personali interessi imprenditoriali e filantropici (nota 2). L’ideazione dell’utopia illuministica di Colle Ameno si deve interamente alla figura di Filippo Carlo Ghisilieri, ma le vicende evolutive del complesso, che ne hanno condizionato lo sviluppo urbanistico, principiarono dall’ampliamento di una palazzina di campagna preesistente, presumibilmente risalente all’inizio del XVII secolo e posta in loco denominato “la/e Predosa/e” o “le Perdose” (nota 3), su cui si innestò la costruzione della villa padronale settecentesca (fig.1).

Le fonti documentali e la metodologia di indagine del costruito
Gli elementi d’indagine della presente ricerca possono essere riassumibili in due filoni principali: l’analisi della distribuzione della proprietà all’interno della comunità di Pontecchio, finalizzata alla comprensione dell’assetto del territorio e quindi all’individuazione della formazione della tenuta su cui sorse Colle Ameno e al ripercorrimento delle “origini” architettoniche dei manufatti, e l’interpretazione delle vicende evolutive che hanno portato alla costituzione del complesso settecentesco.
Una fonte documentaria significativa per lo studio dell’assemblamento proprietario del territorio di Pontecchio è rappresentata dall’Archivio dei Periti Agrimensori, un fondo conservato presso l’Archivio di Stato di Bologna costituito dalle mappe e dalle relazioni dei pubblici periti della città di Bologna in cui sono descritte le parti di territorio oggetto delle perizie. Le fasi di accrescimento di villa Ghisilieri sono state invece ricostruite mettendo a sistema le informazioni contenute nei documenti d’archivio con i dati materiali acquisiti dalla lettura diretta del costruito, o almeno delle porzioni superstiti poiché i fabbricati costituenti il complesso risultano in parte perduti, estremamente danneggiati o compromessi dalle recenti ristrutturazioni del borgo. Il costruito, in quanto materia artificiale prodotta e modificata dall’uomo, è stato indagato con il metodo archeologico applicato all’architettura, detto archeologia degli elevati o archeologia del costruito. L’analisi è consistita principalmente nella lettura stratigrafica degli elevati basata sull’osservazione di ciò che è visibile per individuare le unità stratigrafiche, ossia le parti dell’oggetto di studio prive al loro interno di soluzioni di continuità (ad esempio le parti “omogenee” di murature e strati di rivestimento), valutare le interfacce, ovvero i reciproci contatti tra le unità stratigrafiche per definirne i rapporti temporali di prima e dopo, e interpretare le sequenze costruttive o distruttive di un manufatto o di una parte di esso.
Alle fonti materiali si è affiancata la lettura delle fonti scritte che sono state utilizzate anche per ricondurre le vicende del manufatto alle epoche in cui sono avvenute. Le fonti documentarie fondamentali sono state gli inventari dei beni redatti dai notai alla morte dei successivi proprietari del complesso, poiché sono gli unici documenti contenenti una descrizione della consistenza della villa padronale che, a differenza della chiesa, dell’ospedale e del borgo con le relative attività artigiane, rimane esclusa dagli scritti relativi alle vicende di Colle Ameno in relazione all’iniziativa burocratica intrapresa dal Ghisilieri per rendere l’insediamento amministrativamente indipendente.

Il territorio di Pontecchio nel XVII secolo
All’inizio del XVII secolo il territorio di Pontecchio risulta caratterizzato da una concentrazione della proprietà nelle mani di poche famiglie o enti religiosi; sui molteplici fondi coltivabili insistevano gli edifici destinati all’abitazione padronale o a servizio delle attività agricole e produttive facenti capo alle proprietà. All’interno di questo assemblamento, la parte di territorio su cui si svilupperà nel XVIII secolo il complesso di Colle Ameno, compreso fra le attuali via Vizzano a nord e via Chiù (che affianca il “rio di Casio“) a sud, risulta essere in gran parte di proprietà dei conti Rossi – con predi appartenenti a diversi membri della famiglia – e in parte di proprietà della chiesa e ospedale di S. Nicolò di Pontecchio e dell’Abbazia di S. Stefano di Pontecchio. Questa distribuzione proprietaria è stata delineata in gran parte attraverso l’interpretazione di alcune mappe storiche che ne dimostrano la consistenza nei primi decenni del XVII secolo (nota 4).
Una prima mappa, datata 1609, opera del perito Alfonso Netti è relativa alla parte del territorio di Pontecchio situata in prossimità della località denominata “Borghettî‘, posta appena più a sud rispetto a quella su cui insisterà Colle Ameno, che mostra la consistenza di una proprietà acquistata dagli eredi di Dioniso Rossi; l’esteso podere dei Rossi di 63 tornature, 83 tavole e 25 piedi, all’interno del quale si trova, insieme ad altri edifici, un “casamento grande ad uso di ostería“, risulta però interrotto da un predio di proprietà della chiesa e ospedale di S. Nicolò di Pontecchio di 7 tornature, 44 tavole e 15 piedi (fig.2). Una seconda mappa, datata 1626, opera del perito Alfonso Netti rappresenta un ambito molto esteso del territorio di Pontecchio, in cui è identificabile tutta l’area delle Predose; la mappa profila infatti il territorio che va dalla già citata località denominata “Borghettî‘ verso sud, nella quale sono identificati alcuni edifici posti a levante e ponente della “via pubblica del Sasso” rispettivamente un edificio denominato “osteria del Burghetto” (identificabile con il “casamento grande ad uso di osteria” della mappa del 1609) e i due edifici della chiesa e dell’ospedale di S. Nicolò di Pontecchio, ad un fabbricato denominato “osteria di Pontecchio” verso nord (fig.3).
Dalla mappa risultano diverse proprietà del conte Paolo Emilio Rossi estese su entrambi i lati della via publica del Sasso: a ponente, a sud del “rio de Casio“, sono rappresentati due edifici, uno più grande denominato “abbitatione“, che potrebbe corrispondere all’edificio posto nella medesima posizione e denominato “conte de Rossi‘ nella mappa del 1609 (di fronte a cui si trova l’incluso facente parte dei beni di S. Nicolò di Pontecchio), e un altro manufatto più piccolo, mentre a levante, a nord del “rio de Casio“, un fabbricato siglato ancora come “sig. conte Paolo Emilio de Rossi‘. In base ai riferimenti contrassegnati nella mappa, quest’ultimo edificio risulta peraltro posto nella medesima area su cui sorgerà Colle Ameno, ovvero a nord del rio di Casio e a sud rispetto alla strada che dall’altro lato della via maestra del Sasso scende da Montechiaro. Per ora, non ci sono comprovati riscontri per affermare che questo fabbricato possa essere identificabile con la palazzina successivamente di proprietà della famiglia Davia riconducibile al nucleo originario di Colle Ameno. Si può comunque constatare che il fabbricato avrebbe potuto essere “modesto”, poiché presumibilmente non destinato all’uso abitativo del conte Paolo Emilio, e notare che l’edificio è stato rappresentato con lo stesso orientamento della palazzina Davia, ovvero con la porta d’ingresso raffigurata sul prospetto rivolto verso sud.
È comunque presumibile che nell’anno 1626 la parte di territorio delle Predose su cui qualche decennio dopo si ritroverà la suddetta palazzina della famiglia Davia appartenga al conte Paolo Emilio Rossi. La proprietà del conte sembra peraltro in continuità con la proprietà attribuita a Giovanni Galeazzo e fratelli Rossi posta a sud del predio contrassegnato dalla lettera B. Tuttavia è opportuno considerare che dal momento che questa mappa è stata disegnata con lo scopo di identificare i due predi da permutare contrassegnati con le lettere A e B, rispettivamente di proprietà del signor Giuseppe Ghisilardi in qualità di amministratore dei beni di San Nicolò di Pontecchio e del conte Paolo Emilio Rossi, potrebbero non essere stati indicati i fondi posti nella zona rappresentata nel disegno che non fossero appartenenti alla famiglia Rossi o all’ente religioso; infatti nella mappa non è data alcuna informazione circa la parte di territorio oggetto della perizia del 1609 compresa fra il rio di Casio e l’osteria del Burghetto posta a ponente della strada del Sasso. Una terza mappa, datata 1637, opera del perito Francesco Martinetti dimostra che a quell’epoca la proprietà posta a nord del rio dí Casio apparteneva ancora al conte Paolo Emilio Rossi e su di essa si ritrova ancora la rappresentazione di un fabbricato (fig.4).
Il quadro territoriale d’insieme che emerge dall’analisi delle mappe dei periti può essere ritenuto attendibile poiché gli elementi di riferimento rappresentati nelle diverse planimetrie risultano essere fra loro reciprocamente coerenti. Tuttavia occorre puntualizzare che siccome tali mappe furono redatte con lo scopo di valutare una o più parti del territorio oggetto della perizia, non possono essere ritenute completamente affidabili per una ricostruzione compiuta e dettagliata di tutte le proprietà della zona poiché presumibilmente le modalità e il livello di approfondimento della rappresentazione grafica erano strumentali alla sola comprensione dei dati da stimare.
Il confronto con la mappa del 1775 disegnata allo scopo di identificare le “strade stradelli e sentieri pubblici e privati che sono nel Comune di Pontecchio” (nota 5) è adeguato per implementare l’interpretazione delle mappe dei Periti Agrimensori poiché fornisce una definizione più ampia e completa del territorio, rappresentato con l’indicazione della viabilità stradale, del reticolo fluviale – il “fosso detto Rideva” e il “rio detto di Casio– e delle località con le “emergenze” significative della zona – l'”osteria di Pontecchio“, la “Chiesa di Pontecchio” (S. Stefano), il “Palazzo di Colle Ameno“, “Borghetti‘, la “chiesina di S. Nicolo” e altri (fig.5). Ancora oggi nella struttura del territorio sono leggibili i caratteri identitari dell’impianto storico poiché sono identificabili molti degli elementi antropici già rappresentati nella mappa del 1775: l’impianto del reticolo viario, la denominazione delle strade e i toponimi delle località (fig.6). Dallo studio delle mappe conservate nell’Archivio dei Periti Agrimensori, relative al periodo compreso tra la fine del XVI secolo e i primi decenni del XVII secolo, emerge un assemblamento proprietario all’interno della comunità di Pontecchio in continua mutazione, caratterizzato da ampie tenute che si vanno razionalizzando con continue permute e compravendite e, come comprovato anche dal confronto con altri fondi archivistici conservati presso l’Archivio di Stato di Bologna relativi agli Estimi del Contado (nota 6) e alla parte dell’Archivio Demaniale relativo all’Abbazia di S. Stefano di Pontecchio (nota 7), costituito dalle proprietà suburbane delle famiglie borghesi e aristocratiche di Bologna, dei fumanti ovvero degli abitanti del contado e dei numerosissimi enti e corporazioni religiose; proprio questi ultimi risultano proprietari di estese parti di territorio date in enfiteusi dietro corresponsione di un canone periodico, che poteva consistere in una somma di denaro o in una quantità fissa di prodotti naturali. La presenza dell’amministrazione di S. Nicolò di Pontecchio e di S. Stefano di Pontecchio nel territorio delle Predose, nella porzione posta a ponente della via del Sasso, risulta anche da un’altra mappa che attesta la proprietà delle aree limitrofe a due predi contrassegnati con le lettere A e B rispettivamente di proprietà della chiesa di S. Stefano di Pontecchio e del conte Luigi Rossi fra i quali, nell’anno 1675, sono state permutate (fig.7).
In questa situazione territoriale, a partire dal terzo decennio del XVII secolo è attestato l’inserimento della famiglia Davia, poiché a quell’epoca risultano gli acquisti di diversi predi effettuati da Giovanni Battista Davia nel territorio di Pontecchio, Caste[ del Vescovo e Montechiaro. Limitatamente alle proprietà situate a Pontecchio, nel 1632 Giovanni Battista Davia acquista da Ercole Fava un predio identificato con il toponimo de “La Palazzina”, consistente in un appezzamento di terreno coltivabile, con alberi e viti, con casa, aia, pozzo, forno ed altre pertinenze, e una pezza di terra prativa e alberata, di otto tornature, enfiteutica a favore dell’Ospedale di San Nicolò di Pontecchio (nota 8); sempre nello stesso anno Giovanni Battista acquista da Taddeo Rossi (figlio di Dionisio Rossi) un predio in loco detto “Campo del Pontone” o “Campo de Puggioli‘ (nota 9), mentre nel 1641 acquista da Michele Restochi “una pezza di terra prativa, arborata e vidata (…) in loco detto il Campetto” (nota 10).
Si può ipotizzare che queste proprietà esaurissero i fondi di Giovanni Battista Davia a Pontecchio poiché non risultano altri acquisti dopo la sua morte, già avvenuta nel 1644. A questa data si ha notizia di una locazione a favore di Michele Mazzetti, della durata di cinque anni, effettuata da Persia Parenti, moglie del fu Giovanni Battista e tutrice del figlio Giulio Antonio, di “un luogo di terra arativa, arborativa e vidata e con casa da contadino posto nel l…l Comune di Pontecchio confinato col conte Paolo Emilio Rossi, col signor Taddeo Rossi, con li beni dell’hospitale di S. Nicolò e con la via pubblica” (nota 11). Questo “luogo di terra” viene affittato alla condizione che “la detta signora Persia locatrice si riserva tutta l’habitazione da padroni della quale vuol poter disporre a suo bene lauto o col goderla lei medesima o col fittarla ad altri”.
Negli anni successivi di questo predio non sono state ritrovate altre notizie poiché non compare neanche in un documento del 1656 con cui l’eredità di Giovanni Battista Davia, a seguito della morte del figlio legittimo Giulio Antonio, venne divisa fra Giovanni Battista (juniore), Giovanni Antonio e Marcello, figli di Pietro Antonio Davia, e i cugini Giovanni e Giovanni Giacomo, figli di Giovanni Francesco. In questa divisione, i primi ricevettero le proprietà poste a Pontecchio, “La Palazzina“, “Il Campo del Pontone ovvero Campo de Poggiolì‘, il “Campetto” e il suddetto appezzamento di terreno di otto tornature enfiteutico all’ospedale di S. Nicolò di Pontecchio che un mese dopo rivendettero ai cugini (nota 12).

Il nucleo originario all’epoca della famiglia Davia
L’inventario dei beni redatto alla morte di Giovanni Davia, datato 13 gennaio 1667 (nota 13), è il primo documento ritrovato che attesta l’edificazione della palazzina identificata come il nucleo “originario” di Colle Ameno e al contempo la proprietà alla famiglia Davia di una parte del territorio su cui sorse il complesso settecentesco. Il documento definisce la proprietà, detta “la Perdosa“, come un predio destinato prevalentemente a prato, piantumato con alberi e viti, con la casa padronale e la “casa per contadini‘, ciascuna con le relative pertinenze (nota 14) (fig.8).
Dalla documentazione d’archivio consultata non sono emersi documenti relativi ad acquisti di poderi effettuati da Giovanni Davia a Pontecchio, tuttavia l’inventario certifica che in questo Comune egli fosse proprietario anche di altri fondi prativi o coltivabili non confinanti con la proprietà delle Predose e non riconducibili a quelli precedentemente di proprietà di Giovanni Battista Davia.
Si riscontrano però numerose affinità fra la proprietà delle Predose e la proprietà che nel 1644 Persia Parenti diede parzialmente in locazione, tanto da avanzare l’ipotesi di una possibile coincidenza fra i due predi. In entrambi i casi si ha attestazione delle medesime caratteristiche vegetazionali della proprietà, definita prativa, arborativa e vidata, della presenza della stessa tipologia di edifici, una casa da padrone e una casa per contadini, e della corrispondenza pressoché fedele dei confini (che però sono purtroppo elencati senza specificarne l’orientamento): la strada pubblica, i beni di S. Nicolò di Pontecchio, le proprietà dei conti Rossi (prima il conte Paolo Emilio Rossi e Taddeo Rossi poi Luigi Rossi, erede del conte Paolo Emilio) e, solo nelle Predose, lo stradello pubblico (che potrebbe essere stato realizzato successivamente nell’evoluzione del territorio). Sono state rilevate peraltro anche altre affinità relative ai terreni a compendio delle due proprietà. Infatti nell’inventario di Giovanni Davia la proprietà delle Predose viene valutata, per complessive Lire 12000, insieme ad altri due appezzamenti di terreno, “una pezza di terra prativa arborata dietro (detto] ridava confina da levante […], da ponente la strada maestra, da mezzo giorno i Padri Celestini, e settentrione detto rio” e “un ‘altra pezza Prato sotto l’ostaria di Pontecchio di tornature nove incirca confina da levante il signor Antonio Carlo Landini, da ponente il signor Antonio Rossi mezzo giorno Gioseffo Musotti, e settentrione il signor Rinaldo Accursi”. Questi due predi si ritrovano citati anche nel documento che tratta della proprietà locata nel 1644 quando, fra le clausole del contratto, si precisa che “nella presente locazione non s’intende né anco computa un pezzo di campo in luogo detto Rideva comprato da Michele Barto ed ora ridotto a prato” e che “nella presente locazione non si deve comprendere il Prato di circa otto tornature posto sotto l’hosteria di Pontecchio, di cui deve restare tutto il fieno alla detta locatrice” (nota 15). L’inventario di Giovanni Davia è indicativo della consistenza della “casa da padroni”, già indicata come “palazzina Davia” o “villa Davia” ad identificare il nucleo originario di Colle Ameno (fig.9): la descrizione che ne viene fatta lascia pensare alla residenza padronale come un edificio senza troppe pretese, poiché arredata con un mobilio piuttosto modesto, soventemente definito “vecchio“, realizzata coerentemente al tipo” edilizio di riferimento dell’epoca per l’uso cui era deputata.
Infatti, la “casa da padroni‘, a due piani fuori terra con sottotetto e cantina, presenta gli elementi fondamentali e tipologicamente ripetuti delle residenze bolognesi di campagna cinque-seicentesche, caratterizzate da una sostanziale austerità: una volumetria “raccolta”, la pianta bloccata di forma rettangolare, la loggia passante di distribuzione in corrispondenza dell’asse di simmetria dell’edificio, con il duplice affaccio sull’ingresso principale e sul giardino dalla parte opposta del palazzo, e la scala per accedere ai piani superiori disposta trasversalmente alla loggia (fig. 10-11).
Lo studio tipologico lascia presumere la costruzione della palazzina in un unico momento, come comprovato anche dall’utilizzo della stessa tecnica costruttiva per tutto l’edificio e dall’esatta corrispondenza delle murature e delle aperture dei due piani fuori terra con quelli dell’interrato. La tecnica costruttiva impiegata, peraltro unica in tutto il palazzo, prevedeva il paramento murario in ciottoli di fiume ammorsato a colonne in mattoni in corrispondenza dell’incrocio dei muri interni con quelli perimetrali e agli angoli dei fronti del fabbricato (fig.12). La “casa per contadini” è stata invece identificata con un edificio posto appena più a nord della palazzina signorile e incluso poi negli ampliamenti settecenteschi della villa, caratterizzato dall’utilizzo di un paramento murario in pietrame allungato distinguibile sia da quello della palazzina Davia che dalla successiva evoluzione della residenza padronale. Si può presumere che questo fabbricato sia stato edificato in una fase costruttiva differente rispetto alla palazzina e che si componesse fin dall’inizio di due piani fuori terra poiché la muratura presenta le tracce di due livelli di aperture assemblate alla muratura senza soluzioni di continuità; tali aperture furono poi tamponate nell’ambito dei rimaneggiamenti necessari all’annessione della “casa per contadini‘ all’ampliamento settecentesco della residenza padronale, laddove si rese necessario uniformare il ritmo delle finestrature di facciata (fig.13).
Il successivo proprietario accertato delle Predose fu Giovanni Francesco Davia, nipote di Giovanni Davia e suo creditore, a cui l’edificio passò presumibilmente appena dopo la sua morte.
A metà dell’anno 1675 risulta che Giovanni Francesco avesse appena fatto costruire un oratorio privato a fianco palazzo (nota 16) “per solo servicio privato di detto Davia, et sua famiglia” che fu benedetto il 28 luglio del 1675 (nota 17). A questa data si attesta peraltro la nuova qualifica dell’edificio a
palazzo” – e non più “casa da padrone” – per cui si potrebbe presumere l’avvenuta esecuzione di quei lavori di ampliamento che saranno documentati nell’inventario dei beni datato 30 giugno 1689 (nota 18) redatto alla morte di Giovanni Francesco Davia, consistenti nell’aggiunta di due ali laterali a fianco dell’ingresso principale. L’edificazione successiva di questi corpi di fabbrica rispetto ad un primo impianto edilizio è comprovata dalla lettura del costruito, poiché sotto di essi non è presente il piano interrato e la muratura, assemblata con una tecnica costruttiva differente da quella della palazzina, non risulta neanche ammorsata al volume parallelepipedo dell’edificio; questa variazione si dimostra inoltre coerente con l’evoluzione tipologica della villa che nel Settecento supera la pianta compatta a favore di forme planimetriche più articolate (fig. 14 – 15).
L’edificio identificato come “casa per contadini” nell’inventario del 1667 è qui definito “casetta per l’ortolano“, ma sembra rimasto invariato nelle sue caratteristiche funzionali e risulta essere ancora un fabbricato disgiunto rispetto al palazzo dei signori.
L’ampliamento del palazzo e l’ornamento delle pertinenze esterne, sistemate a “giardino“, denotano l’accomodamento della proprietà delle Predose ad uso della famiglia: la “dignità” del mobilio e l’abbondanza delle suppellettili che arredavano le stanze comprovano l’uso della residenza suburbana anche come luogo di villeggiatura, oltre che appoggio logistico per il presidio della tenuta agricola, peraltro accresciuta da numerosi predi posti a Pontecchio e dintorni, come risulta dai molteplici acquisti di terreni effettuati da Giovanni Francesco fra il 1668 e il 1683 (nota 19). L’estensione delle proprietà del Davia è attestata anche dall’elenco dei beni rurali contenuti nell’inventario del 1689, che si compone di 20 predi nei Comuni di Pontecchio, Moglio, Nugareto, Caste[ del Vescovo e S. Cristoforo. Dalla disamina di questi fondi emerge che essi non costituivano una proprietà unitaria, poiché erano variamente collocati nel territorio: dei nove predi posti nel Comune di Pontecchio, solo tre risultano reciprocamente confinanti e sono “Le Predose“, “una pezza di terra lavorativa, arborata, vidata, et alquanto prativa (…), confina appresso detto Palazzo li beni de signori Rossi, la via publica, et li beni del reverendissimo signor Musotti” e “un luogo di terra arativa, arborata, vidato, prativo, et alquanto casalivo con casa per li contadini, colombara, ara, pozzo, forno, stalla, teggia, et altre sue soprastanze, e pertinenze, con stanze ad uso de padroni [… in loco detto l’Occa (…) confina appresso la sopradetta pezza di terra, li beni de signori conti Rossi da due lati, li beni delle Putte di Santa Croce“.
Fra i beni di Giovanni Francesco Davia risultano anche tre poderi posti in prossimità dell’osteria di Pontecchio e del “rio detto Rideva” fra cui sembrano ancora rintracciabili i due appezzamenti di terreno riferibili alla locazione del 1644 (nota 20), nonché un predio di terreno coltivabile, posto nel Comune di Moglio e confinante con il il “signor senatore Ghisellierì‘. A partire dalla fine del penultimo decennio del XVII secolo, infatti, il marchese e senatore Francesco Ghisilieri, comincia ad acquistare diversi predi nei Comuni di Moglio, Nugareto e Pontecchio, alcuni dei quali risultano alienati dallo stesso Giovanni Francesco Davia o svenduti dopo la sua morte dagli eredi (nota 21). Fu così che nel 1692 Francesco Ghisilieri acquistò dalla cessata ragione bancaria di Giovanni Francesco Davia la quasi totalità dei beni rurali elencati nell’inventario del 1689 (nota 22). Nella fattispecie il predio delle Predose viene valutato per complessive Lire 7500 insieme ad una “pezza di terra lavorativa, arborata, vidata, et alquanto prativa (…) confina questo con altri beni di detto stato Davia, con il suddetto palazzino, li beni di detti signori conti Rossi, la via publíca, li beni di Monsignor illustrissimo, e reverendissimo Musotti et altre parte della qual pezza di terra è enfiteotica (…) a favore dello spedale di S. Nicolò di Pontecchio, al quale si paga un canone annuo di Lire 2, e soldi 10“. Questa “pezza di terra” sembra corrispondere a quella di 8 tornature che nel 1632 Giovanni Battista Davia acquistò insieme al predio detto “La Palazzina” poiché enfiteutica a favore dell’ospedale di S. Nicolò di Pontecchio, sempre per il medesimo canone (nota 23). Ritornando alla fine del XVII secolo, il passaggio della proprietà delle Predose al senatore Francesco Ghisilieri “mette in cantiere” inconsapevolmente, le basi per la futura realizzazione di una parte del complesso di Colle Ameno nel XVIII, la cui evoluzione sarà oggetto della seconda parte di questo contributo sul prossimo numero della rivista.

Tratto dalla rivista semestrale “al sâs” N.23
edita dal gruppo di ricerca storica “PROGETTO 10 RIGHE