Capitolo 14 – Ricordi di bambina

Durante la guerra, abitavo con la mia famiglia nel podere Belvedere di Tizzano Eremo, sulla collina che sovrasta Casalecchio di Reno. La famiglia di mio padre, prima di venire a Tizzano abitava nella parrocchia di Moglio.

Giornale

Edizione straordinaria del Corriere dell'Emilia del 1° maggio 1945.

La nostra casa a Tizzano era situata in cima alla collina, perciò da lì era possibile vedere tutta la vallata del Reno fino alle porte della città di Bologna. Di quel periodo non ho un ricordo traumatico, forse perché ero piccola, nata nel 1935 avevo 9/10 anni e non davo il giusto peso alle cose che stavano succedendo intorno a noi. Ricordo che giocavo con mio fratello Rino e Luisa, nostra parente, cercando di imitare i grandi. Seppellivamo i pochi giocattoli sotto terra, perché nessuno potesse portarli via.

Quando iniziarono i bombardamenti sulla città, la radio, che possedeva una signora sfollata in casa nostra, consigliava di allontanarsi dalle case, che potevano essere degli eventuali bersagli. Era meglio nasconder si in un luogo più sicuro. Sulla collina non era possibile scavare un tipico rifugio, allora i miei famigliari scavarono nel terreno una profonda fossa, come una trincea nascosta da una fitta siepe (cosa abbastanza ridicola commentata ora). A noi bambini sembrava un gioco entrare tutti in fila in quello scavo e sbirciare fra la siepe le squadriglie di aerei.
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A stormi, tutti allineati, si alternavano lasciando cadere le bombe sulla città; sembravano birilli d’argento che luccicavano al sole. Quei birilli, però, nel punto dove toccavano terra, alzavano immensi nuvoloni di fumo nero che terrorizzava gli adulti, ma personalmente ricordo con chiarezza che contavo gli scoppi per niente impaurita. Con l’incoscienza di bambina, non mi rendevo conto che in mezzo a quel fumo nero, stavano morendo tante persone.
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Un altro episodio ricordo con chiarezza: una notte ci svegliammo di soprassalto, la vallata era illuminata a giorno dai bengala. In un primo momento mi guardavo attorno con curiosità; era una cosa che non avevo mai visto, poi, guardando meglio, sembrava che dal cielo cadessero tante palle di fuoco. Contagiata dalla paura che dimostrava mia madre anch’io cominciai a tremare leggermente, credevo di dover vedere, da un momento all’altro, la vallata incendiarsi.
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Con il passare dei mesi, la situazione generale peggiorava e la paura di morire aumentava di giorno in giorno. Arrivarono persone che erano riuscite a salvarsi dai massacri compiuti dai tedeschi a Marzabotto. Raccontavano di intere famiglie sterminate. Erano stati uccisi vecchi, donne e bambini. Da alcuni mesi, Velio Bai, un giovane poco più che diciottenne, assieme a un gruppo di amici, aveva organizzato il primo nucleo partigiano nella zona dell’Eremo. Di questo gruppo ne parla in modo dettagliato Graziano Zappi nel libro “Antifascismo e Resistenza a Casalecchio di Reno”. Io mi limiterò a raccontare le cose che ricordo o che ho saputo in famiglia.
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ll gruppo si era costituito nella nostra zona, aveva il compito di trovare un nascondiglio sicuro per poter accogliere gli uomini che venivano dalla città e dalla pianura, in attesa di essere aggregati nelle Brigate partigiane che operavano nella zona. Il gruppo aveva costituito una base presso il bosco di Nugareto, in una grotta ben protetta, bisognava però procurare viveri, indumenti, medicinali e armi. Del gruppo faceva parte anche Cesare Mazzetti, cugino di mio padre, famiglia antifascista di vecchia data e che più volte aveva subito angherie da parte dei fascisti. Velio Bai, Amedeo Cassanelli e un altro giovane, tutti al di sotto dei vent’anni, gestivano il lavoro operativo del gruppo.
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Quasi tutte le famiglie della zona, cercarono di aiutarli. Anche mio padre, Corrado Mattei, fu subito disponibile; il nostro fienile fu più volte utilizzato per nascondere partigiani e rifornimenti. Non ricordo per quanto tempo rimasero nascosti tre partigiani di Riale, in attesa di poter raggiungere la formazione in montagna. Da Riale proveniva pure una vecchia donna che andava in giro a chiedere l’elemosina e con la scusa di chiedere un pezzo di pane, curiosava facendo domande. Si seppe poi che era una spia dei fascisti.

Molte notti mio padre, insieme a Velio Bai o ad Amedeo Cassanelli portavano a destinazione il materiale che di tanto in tanto veniva procurato nella zona. Dovevano fare molta attenzione, c’erano tedeschi in tutte le case oltre alle pattuglie notturne. Essere scoperti significava tortura e fucilazione. La resistenza è fatta anche di questi episodi che non si leggono sui libri dei grandi scrittori che narrano le grandi imprese. Sono episodi che rimangono nei ricordi di chi li ha vissuti e con la loro morte il ricordo si perde. Sono convinta che è stato il lavoro e il coraggio di tante persone, che rimarranno anonime, le quali hanno contribuito in modo determinante alla realizzazione delle speranze di tanti italiani, fino alla liberazione del nostro Paese.
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Finalmente arrivammo all’aprile del 1945, i giorni della liberazione. Ricordo che mio padre arrivò nella notte insieme ad altre persone, dicendo che nelle strade principali stavano passando i carri armati americani e che i tedeschi erano in fuga, ma che bisognava stare chiusi in casa e stare attenti, perché in mezzo a loro c’erano degli irriducibili fanatici che potevano ancora fare del male. Infatti la mattina dopo fummo informati che da una casa poco distante dalla nostra, una ragazza e suo zio erano usciti di casa, forse per informarsi della situazione ed erano stati uccisi dai cecchini appostati sui vicini calanchi.

Il 20 aprile passarono da casa nostra molti soldati tedeschi, quelli che erano ancora armati buttavano via le armi e chiedevano un bicchiere d’acqua o un pezzo di pane, mostrando la fotografia della loro famiglia. Mia madre impaurita prese me e mio fratello e ci nascondemmo nel rifugio e li rimanemmo tutto il giorno senza sorprese. Mio padre preoccupato per quello che poteva succedere, nella notte ci venne a prendere. Prima di uscire dal rifugio ci spiegò come dovevamo comportarci; per un tratto dovemmo strisciare per terra dentro al fosso che delimitava la strada, verso la fine del percorso bisognava uscire allo scoperto per un piccolo tratto. La raccomandazione era che, se avessimo sentito sparare, dovevamo lasciarci andare distesi a terra.

Mia madre con mio fratello era rimasta un po’ indietro, papà mi prese per mano e uscimmo allo scoperto. Dalla collinetta vicina alla chiesa dell’Eremo partì un colpo di fucile. Io sentendo lo sparo, mi lasciai andare a terra, ma mio padre che mi teneva per mano mi trascinò al sicuro. Quando mi alzai da terra mi accorsi che stava piangendo e in continuazione mi chiedeva come stavo. Solo più tardi ho saputo che vedendomi cadere, aveva avuto la sensazione che mi avessero colpita avendo visto una pallottola conficcarsi nella strada poco distante da noi. Questo episodio è da sempre rimasto impresso nella mia mente, non tanto per quello che era successo, ma per aver visto mio padre piangere, e penso sia stata l’unica volta.

Laura Mattei Rossi

Le fotografie riprodotte in questa pagina documentano il passaggio delle truppe della 6° Armata Sudafricana dal fiume Reno al passaggio a livello di Ponte Albano.

Le foto pubblicate in questa pagina sono state tratte dalla videocassetta “COMBAT FILM” Edizione RAI 1994.